VOTA DONNA?

 

 
Mi chiedo fino a che punto lo slogan “Vota donna” sia valido a prescindere da tutto.
Personalmente ho sempre avuto la convinzione che fosse meglio avere una donna, pur con idee opposte alle mie, nelle Assemblee Elettive piuttosto che un uomo.
Questa convinzione è andata nel tempo incrinandosi.
Ho registrato che quando un uomo si esprime contro i diritti delle donne, viene generalmente fatto bersaglio un po’ da tutti, ma quando una donna esprime concetti contrari ai principi femministi, e per femminismo intendo le pari opportunità per i generi, le cose cambiano.
Sentire una donna affermare che “basta essere brave” per riuscire in politica e nel lavoro, oppure che “ormai la parità è raggiunta” e che “le donne hanno le stesse opportunità degli uomini”, significa non solo negare la realtà, ma offrire una sponda al maschilismo, ancora troppo presente nel nostro Paese, che deve riuscire a combattere i tanti pregiudizi e una mentalità antiquata, che resiste nonostante tutto.
Sottovalutare l’assenza delle donne ai vertici della politica, della magistratura, dell’università, delle aziende, della pubblica amministrazione, rende davvero difficile anche l’attuazione del Piano per la parità di genere 2021-2026, che la Ministra Elena Bonetti ha presentato in questi giorni al CDM.
Il Piano prevede la riduzione, se non l’eliminazione del gap salariale uomo-donna, una spinta al tasso di occupazione e all’imprenditoria femminile, un aumento delle donne nei cda, solo per citare alcuni punti strategici.
Ora non vi è dubbio alcuno che le critiche delle donne verso altre donne sono più efficaci e più interessanti per i mass media, che ne danno evidenza eccessiva, proprio per rimarcare lo scontro,  alimentando lo spirito misogino, minimizzando i problemi e ritenendo inutili e fuori tempo le battaglie femministe.
Ciò detto, avere una donna parlamentare o comunque in un’assemblea elettiva che non sa leggere la realtà e che non si batte per le pari opportunità, è decisamente meglio che non sia eletta, perché la sua presenza nelle Istituzioni elettive danneggia le donne.
Quindi lo slogan “vota donna”, andrebbe corretto in “vota la donna che si batte per le donne”.
Troppe volte ho vissuto sulla mia pelle battute maschiliste, scaturite da comportamenti ambigui di altre donne, che inducevano il maschio di turno ad affermare che “loro sì erano donne vere e non io che mi battevo per le solite questioni di donne”, quasi che le pari opportunità fossero un accidente periodico, come “il ciclo mensile delle donne” e che fossero una questione di ormoni e non di ingiustizia vera e propria nei confronti delle donne.
Perché che altro è il gap salariale se non “il più grande furto della storia”, così è stato definito dall’ONU, solo per esemplificare!
Quando le donne affermano che “basta essere brave” per riuscire, comporta come conseguenza logica la considerazione che le donne sono meno brave degli uomini, fatta eccezione per loro stesse.
Ecco di queste donne non c’è bisogno alcuno che siano votate o almeno sappiano le altre donne che spesso sono proprio costoro, che ricoprono ruoli pubblici ed istituzionali ad essere le peggiori nemiche dell’emancipazione di cui il nostro Paese ha davvero bisogno, se non vuole rimanere tra gli ultimi in Europa, per la parità di genere, che farebbe un gran bene anche alla nostra economia, perché con più donne al lavoro, pagate come gli uomini, con più infrastrutture socio educative e gratuite, con più aiuti alle donne con figli, il nostro PIL crescerebbe di molti punti percentuali.
Infine, l’ostentare da parte di molte donne, che hanno raggiunto posizioni di prestigio, che preferiscono che il loro titolo non sia declinato al femminile e sostenere, ad esempio, che “direttore” è meglio e più autorevole di “direttrice”, deriva, a parer mio, da una mentalità conservatrice, avvallando in tal modo l’idea, che il maschile è più “forte” e che il potere continua ad essere “maschile” e che le donne che assumono ruoli e posizioni monopolizzate per secoli dagli uomini, è opportuno che non si distinguano dai maschi nemmeno nei titoli, per non essere considerate inferiori.
Eppure l’Accademia della Crusca ha certificato la correttezza della declinazione al femminile di titoli e professioni, che sono state per secoli dominate dagli uomini. L’italiano non è una lingua morta ed è giusto che si adegui al cambiamento culturale, ma se siamo noi donne le prime a prendere le distanze da questo rinnovamento, le speranze che in tempi brevi anche l’Italia possa essere considerata un “Paese per donne”, sono davvero fievoli.

I DIRITTI NEGATI

È difficile parlare delle donne afghane e dei diritti delle donne in generale.

È sempre più difficile, perché si deve accusare l’intera classe dirigente politica e quando tutti sono colpevoli, nessuno è colpevole!
Però è questo che va rilevato: nei vari accordi della questione femminile e dei diritti delle donne non si è discusso.
Partiamo dall’Accordo di Doha, firmato dagli Stati Uniti, sotto la presidenza di Trump e dalla fazione dei Talebani, nel febbraio del 2020.
L’accordo si basa su: disimpegno militare occidentale, garanzie per la sicurezza nazionale USA, cessate il fuoco e impegno nelle negoziazioni infra afghane, impegno a supportare la causa afghana nelle sedi internazionali e la non ingerenza negli affari interni.
Dei diritti umani e delle donne, in particolare, nemmeno un cenno!
Pochi giorni fa si è tenuto il G7, riunione convocata d’urgenza dal Paese che quest’anno presiede il G7, cioè il Regno Unito , per parlare della riconquista dell’Afghanistan da parte dei talebani, avvenuta molto più rapidamente di quanto si aspettassero i Paesi occidentali. Nella riunione sono stati affrontati soprattutto due temi: la complicata evacuazione da Kabul degli afghani che in questi anni hanno collaborato con i Paesi occidentali, e che quindi rischiano ritorsioni da parte dei talebani e l’eventuale riconoscimento formale del nuovo regime. Su entrambe le questioni non si è deciso granché, l’unica cosa su cui hanno concordato i Paesi è stato di richiedere ai talebani di consentire l’evacuazione degli occidentali e degli afghani che hanno collaborato nel corso di questi 20 anni.
Anche in questo caso nessun cenno sul rispetto dei diritti umani e delle donne in particolare!
 
Ora siamo tutti scandalizzati e preoccupati della “Tragedia dell’Afghanistan”, osserviamo con paura  la sfilata di talebani armati di tutto punto, alla scomparsa delle donne dalle strade, alle fughe di massa e agli attentati dell’ISIS, che la fazione governativa non riesce a bloccare, anzi lo scontro tra le due fazioni pare acuirsi: stato autonomo dell’Afghanistan o riconquista del Califfato, quale che sia l’obiettivo, l’instabilità è assicurata come pure la possibilità degli attentati terroristici da parte dei kamikaze.
Ma visti gli accordi di Doha era tutto immaginabile, anche perché tra le condizione per la firma, i talebani hanno ottenuto la cancellazione delle sanzioni e l’impegno degli USA e dei loro alleati a non intervenire negli affari interni.
Quindi in estrema sintesi, con l’accordo per “la pace in Afghanistan” viene riconosciuto il governo dei talebani sul Paese, gli USA e i suoi alleati cooperano alla ricostruzione senza immischiarsi in qualsiasi tipo di diritti umani, a fronte della promessa di non sostenere i terroristi contro gli USA.
L’accordo di Doha, firmato da Trump con i talebani, condanna a morte, allo stupro e alla schiavitù migliaia di donne e bambine, nell’indifferenza certificata dalla non ingerenza negli affari interni, di chi esercita il potere al maschile.
Credo che nessuna donna avrebbe potuto firmare una cosa del genere.
E comunque sono troppo poche le donne al comando e se non ci sono nessuno ne tutela gli interessi legittimi ed infine è forse possibile distinguere i “buoni” dai “cattivi”?
“Chi ti mette in bocca al lupo è forse meno feroce del lupo?” (e chiedo scusa al lupo!).

La gogna mediatica: fare informazione o vendere giornali

Sbatti il “mostro” in prima pagina.

Troppe volte abbiamo visto pagine intere, con gigantografie del “mostro” in prima pagina, con dovizia di ipotesi di reato, con relative interviste di cittadini “indignati”, che poi sono state smontate dalla realtà documentale e giudiziaria.

Certamente, però, a fronte di assoluzioni perché “il fatto non sussiste”, non si è vista una analoga campagna giornalistica riabilitativa.

Penso di saperne qualcosa di “gogna mediatica”, perché l’ho subita.

Penso che non sia vero che se si riesce a superare un periodo così difficile si diventi più forti.

Penso che esperienze così drammatiche ti cambino per sempre. 

Ti cambiano intimamente perché durante i periodi di gogna mediatica impari a congelare il cuore, a congelare ogni emozione, ti imponi di annullare ogni emozione, ti imponi di non sentire nulla, ti concentri sulla tua difesa.

Quando tutto si risolve al meglio, ti accorgi che un po’ di fango ti  rimane comunque addosso e che in alcuni rimane  il sospetto che “qualcosa di vero, ci sarà pure stato!”.

Penso che vi siano dei ruoli, quali quello dei magistrati, che hanno in mano la dignità, l’onore e la libertà dei cittadini, che debba essere svolto da persone capaci di essere imparziali, equilibrate, al di sopra di ogni sospetto, non coinvolte nelle dinamiche politiche, senza rapporti amichevoli con il potere economico, sociale e politico e, non ultimo, devono essere riservate. I processi sono pubblici, ma si svolgono nelle aule dei tribunali, solo in quella sede i magistrati, inquirenti o giudicanti, possono e devono parlare,  non nelle conferenze stampa o nei talk show.

Il magistrato dovrebbe essere al di fuori delle contese, faccio un riferimento azzardato: verso la fine del XII secolo i Comuni medioevali introdussero la figura del podestà e tale carica poteva essere ricoperta da una persona non appartenente alla città che andava a governare, in modo da evitare coinvolgimenti personali nelle controversie cittadine e garantire l’imparzialità nell’applicazione delle leggi. Il podestà era eletto dalla maggiore assemblea del Comune (il Consiglio generale) e durava in carica, di solito, sei mesi o un anno. Doveva giurare fedeltà agli statuti comunali, dai quali era vincolato, e alla fine del mandato il suo operato era soggetto al controllo da parte di un collegio di sindaci.

Dal XII secolo ad oggi, le cose sono cambiate, esiste la Costituzione, il codice civile e penale, il CSM e, in teoria, la legge deve essere applicata in modo uguale in tutto il territorio nazionale e quindi ammetto che il paragone è azzardato, ma la cosiddetta “giustizia ad orologeria” non è una fantasia.

Quante volte abbiamo assistito ad avvisi di garanzia consegnati, prima ai giornali che agli interessati, in piena campagna elettorale e quante volte le indagini strombazzare dalle prime pagine si sono poi rivelate inconsistenti!? Troppe!

I nostri magistrati, generalmente, sono assolutamente inseriti nelle società in cui amministrano la giustizia, partecipano alle relazioni sociali, sono invitati a cene e feste, e se non sono superuomini o superdonne ne sono inevitabilmente condizionati anche nell’esercizio del proprio ruolo.

Agli atti delle inchieste che mi hanno riguardato non c’erano denunce di cittadini o segnalazioni anonime, ma solo qualche articolo di giornale, non frutto di inchieste giornalistiche, ma un semplice articolo che riportava chiacchiere, rivelatesi infondate.

Certamente alle spalle della giornalista  ci sarà stato qualcuno che non aveva né il coraggio né la dignità di assumersi la responsabilità di una denuncia, correndo quindi il rischio di essere poi coinvolto in un risarcimento. (Uso il femminile e il maschile non a caso).

Anche chi svolge il ruolo importante dell’informazione dovrebbe essere consapevole che tratta della dignità e della vita delle persone e così come si dà ampio risalto all’inizio di una procedura giudiziaria si dovrebbe dare altrettanto risalto alle assoluzioni, specie con formula piena, ma così generalmente non avviene.

Questa abitudine a creare il “mostro” non è ovviamente riservata ai politici, ma a chiunque venga,  suo malgrado, scelto come adatto al ruolo. Certo, la denuncia dell’abuso, del reato, “commesso” dai  politici, e ancora di più delle donne in politica, è particolarmente efficace e priva di rischi concreti per chi la pratica.  E vale anche all’incontrario: quante volte  la stampa assolve il violentatore seriale, o lo stupro di gruppo perpetuato da ragazzi di buona famiglia, o da un uomo di potere “che è una così brava persona”, ma si accanisce contro la vittima?

La questione, secondo me, va posta sempre in termini di valori: il rispetto della dignità delle persone, deve essere praticato sempre ed in ogni momento, con la consapevolezza che le parole pronunciate sono macigni sulla vita delle persone.

NESSUNA È PARI SE NON SONO PARI TUTTE

 
In una comunità di diseguali, chi può dirsi uguale?
 
Il ragionamento che intendo sviluppare parte da una considerazione  e da una convinzione.
La considerazione consiste nella constatazione che la Comunità è formata da due grandi gruppi sociali, in cui immediatamente ci si può riconoscere: donne e uomini e che oggi esiste una disparità tra i due sessi a svantaggio delle donne.
La convinzione è che quando una donna riesce a praticare una breccia, nella barriera della disparità, a infrangere il soffitto di cristallo, esso non si infrange, una volta per tutte, perché si richiude dopo di lei, come fosse una membrana!
Ed allora, si può affermare che quella donna sia pari agli uomini e che non sarà soggetta ai pregiudizi del retaggio culturale, che pure gravano sull’intera società?
Penso, con convinzione, che se tutte le donne non sono considerate alla pari degli uomini, nessuna può ritenersi  davvero pari!
 
Anzi quando Una Donna raggiunge traguardi importanti, il suo successo viene strumentalizzato per affermare che la disparità non esiste e che è sufficiente “valere” per ottenere risultati importanti in ogni campo. Basta volere e valere!
Ma quella Donna non è brava come gli uomini, ma decisamente più brava, perché ha dovuto/potuto superare molte discriminazioni e pregiudizi.
Ma la disparità tra i generi è un fatto ineludibile? Vi sono delle responsabilità attribuibili a qualcuno o a qualcosa.
Potremmo innanzitutto affermare che fino ad oggi la disparità non è stata evitata, eppure non si può affermare che la disparità sia naturale e basata su fattori oggettivi!
Infatti:
Le donne sono intelligenti come gli uomini
Le donne studiano come e più degli uomini
Le donne sono lavoratrici come gli uomini
Le donne sanno assumersi responsabilità come gli uomini,
o meglio, gli uomini sono intelligenti come le donne, ma studiano meno e con minori risultati delle donne, lavorano in media 3 ore al giorno meno delle donne e difficilmente si assumono la responsabilità della vita dei propri cari come è “naturale ” fare per una donna.
Potremmo anche affermare che l’organizzazione della Comunità, intesa come Società, sia stata realizzata dalla politica e che la politica sia una prerogativa maschile.
Ed allora una riflessione sulla politica si rende necessaria.
Citando Hannah Arendt “l’Uomo è a-politico. La politica nasce tra gli uomini, dunque decisamente al di fuori dell’Uomo” con la U maiuscola. “Perciò non esiste una sostanza propriamente politica. La politica nasce nell’infra, e si afferma come relazione.”
Dunque la politica è innanzitutto relazione tra diversi, ma fino ad oggi questi “diversi” sono in maggioranza uomini, ma se vogliamo realizzare una società basata sulla parità tra donne e uomini è necessario che la politica sia relazione tra donne e uomini in misura uguale
La politica è una necessità irrinunciabile, laddove esiste una comunità d’individui con la necessità di gestire la “cosa pubblica”. La politica esiste fin da quando l’uomo vive in comunità e fin da quando l’uomo ha avuto necessità di produrre decisioni collettive, che riguardassero l’intera comunità.
E come è oggi la reputazione della politica ?
Perché dobbiamo anche chiederci se la politica sia in grado di assolvere al compito che viene attribuito ad essa.
 È antica la diffidenza verso la politica, è una diffidenza tanto antica quanto la tradizione della filosofia politica, “risale ai tempi di Platone e forse addirittura a Parmenide, e scaturirono da esperienze estremamente reali che i filosofi avevano vissuto nella polis, ovvero in quella forma di organizzazione della convivenza umana che ha determinato in maniera talmente esemplare e decisiva l’idea che ancora oggi abbiamo della politica, che persino il termine con cui tutte le lingue europee la definiscono deriva da lì.”
“Orbene la politica, si dice, sia una necessità inalienabile per la vita umana, sia per la vita del singolo che per quella della società. Poiché l’uomo non è autarchico ma dipende nella sua esistenza dagli altri, deve esservi una cura dell’esistenza che riguarda uomini e donne e senza la quale non sarebbe possibile convivere. Compito e fine della politica è tutelare la vita, nel senso più ampio del termine e nel senso moderno, di assicurare ai molti la vita, il guadagno e un minimo di felicità.”(H. Arendt)
Ma fino ad oggi la società realizzata dalla politica o meglio dagli uomini che hanno gestito e che gestiscono il potere, attraverso la politica, intesa come la costituzione, l’organizzazione, l’amministrazione dello stato e la direzione della vita pubblica, è pensata secondo un modello adatto ad un target di popolazione costituita per lo più da: uomini, bianchi, occupati, senza carichi familiari ( perché qualcuno al posto loro se ne occupa), senza disabilità. Poichè esistono, certamente, varie idee di società, ma quella realizzata è quella di chi sta al potere.
 
La società realizzata, fino ad oggi, non è in grado di rispondere in modo equo e paritario agli interessi dell’intera collettività, perché fino ad oggi non ha difeso gli interessi delle donne.
 
Ora, a tal riguardo, sento spesso argomentare che si deve superare questo “paradigma” di parlare degli “interessi delle donne”, ma che sarebbe meglio e giusto parlare degli “interessi della Società”.
Certo tutelare e rispettare i diritti/interessi delle donne significa realizzare una Società migliore, più equa e forse più felice, ma è proprio perché gli “interessi/diritti delle donne sono violati che non si riesce a realizzare una Società migliore e più ricca, un tasso di occupazione femminile pari a quello maschile consentirebbe al nostro Paese di veder crescere il P.I.L di parecchi punti percentuali.
 
Non dobbiamo annacquare il problema, anzi c’è bisogno di focalizzare maggiormente il problema, che poi Tutti assieme dobbiamo affrontare e risolvere (Utopia! Forse! Ma senza obiettivi alti, non si raggiungono risultati utili a migliorare il contesto storico!)
 
Per portare equilibrio tra i due gruppi sociali, è necessario riscrivere il Contratto Sociale
o il Patto Sociale perché ci sia la “garanzia che alla condotta giusta di ciascuno non corrisponda l’ingiustizia degli altri, e nel nostro caso oggi il Contratto sociale non è a garanzia delle donne.
Forse è più adeguato affermare che la parità formale oggi esistente in Italia deve essere declinata anche sostanzialmente, come peraltro prevede la nostra Carta Costituzionale.
Innegabile che la Costituzione ed un’ampia legislazione sia improntata al principio di parità , ma la sua attuazione è per ora non rispondente ai principi giuridici e costituzionali.
Per avvicinarci all’attuazione della società della nostra Costituzione, si  deve subito realizzare la:
– parità salariale

– infrastrutture sociali ed educative tali da consentire di poter permettere alle donne e agli uomini di realizzare i propri sogni e le proprie attitudini

– garanzia di universalità dei servizi socio/educativi

– un mercato del lavoro basato sul merito e non sulle relazioni familiari/amicali
– pari opportunità nel mondo del lavoro, assunzioni non discriminatorie, progressioni di carriera che non siano inficiate dal genere
– condivisione degli impegni (e anche delle gioie) familiari; restituzione ai padri del loro ruolo di cura
– superamento degli stereotipi e rispetto delle donne in ogni ambiente, a partire dai media e dal linguaggio
– pari libertà rispetto agli uomini, relativamente “a tutto”
Ma serve innanzitutto che le donne condividano e concordino sull’idea che esiste una disparità tra donne e uomini ingiusta e non giustificata da alcun elemento oggettivo e reale e che solo l’alleanza tra donne può consentire a tutte le donne di non essere più discriminate e di godere di pari diritti sostanziali.
Ma serve innanzitutto che noi  uomini e donne apriamo gli occhi sulla realtà di quello che è in effetti la nostra società, dove  esiste una disparità tra donne e uomini ingiusta e ingiustificata (non degna di una società civile) e  che prendiamo atto che ben difficilmente (almeno finora non è mai successo) chi ha il privilegio vi rinuncia a favore di chi è discriminato e allora io dico che  non basta che poche donne abbiano raggiunto ruoli di potere, siano ministre o imprenditrici, ma solo un’alleanza tra donne e tra donne e quegli uomini che vogliono davvero cambiare,  può consentire a tutte le donne di non essere più discriminate e di godere di pari diritti sostanziali.
NESSUNA È PARI DA SOLA

Fiducia è l’imperativo categorico !

 
Il tempo che viviamo è difficile, complicato e proprio per questo c’è la necessità di chi ci governa e non solo, di incoraggiare a non perdere la fiducia nel futuro, facendo leva sulla resilienza di tutti, cittadini, imprese, istituzioni.
Così aggirandomi per le vie di Milano, nella centralissima via Dante, ho ammirato le luminarie con le seguenti scritte: “credi nei tuoi sogni”, “non arrenderti mai”, “ascolta buoni consigli”, mentre nell’altrettanto centralissima  via Belenzani di Trento ho letto le frasi delle luminarie, tratte da canzoni popolari: “Da ‘na vista propi bela”, “Se smorza ‘na fiamela”, “Che dolceza ne la voze”, “Che vien dala montagna”, “Fa’ en sonelin”.
Il paragone fa riflettere. Da Milano parte l’invito a sperare, a non arrendersi, a cercare la propria strada, sapendo ascoltare chi può consigliarci, mentre da Trento il messaggio si rivolge al passato, alla tradizione, quasi a ricercare lì la soluzione per uscire dalla crisi.
La mia è decisamente una libera interpretazione delle frasi dialettali usate nelle luminarie di Trento, nata dal confronto con quelle di Milano.
Confesso che ho trovato “geniali” le scritte milanesi, che spingono a lottare ad avere fiducia in se stessi e perseguire i propri sogni e mi sono sembrate rivolte ai giovani soprattutto, visto che il futuro della società  è nelle loro mani.
Le frasi del dialetto trentino, belle e serene, mi sono sembrate quasi un tentativo di rifuggire dal presente “oscuro” ed invitare a pensare alle favole o comunque ad una tradizione popolare che non va dimenticata, ma che al momento non aiuta a trovare il coraggio di sperare che il domani sarà meglio dell’oggi.
Trento e Milano si sono avvalse di artisti, la cui creatività va apprezzata, ma come ogni opera d’arte è soggetta alla valutazione di chi la osserva e per questo mi sento libera di affermare che apprezzo maggiormente quella di Milano, perché interpreta  il momento attuale, si rivolge a tutti, ma, a mio parere di più alle giovani generazioni e sa incoraggiare.
Usare il dialetto trentino, esclude dalla comprensione tutti coloro che non lo conoscono, tra cui i molti giovani e hanno inoltre bisogno di un’interpretazione, non comunicano direttamente un messaggio, come le semplici ed efficaci frasi di Milano.

L’incoerenza del Presidente del Consiglio dei Ministri

D
 
Nel discorso inaugurale per l’inizio della presidenza italiana del G20, il Presidente Conte, così dichiara:
“Abbiamo deciso di incentrare il nostro programma di lavoro su tre pilastri: Persone, Pianeta e Prosperità. Per sviluppare un mondo più sicuro e sostenibile dobbiamo innanzitutto ristabilire l’equilibrio tra le persone e la natura. Su questa base potremo sostenere la ripresa economica, anche promuovendo l’empowerment femminile; affrontare la povertà e le disuguaglianze, vecchie e nuove, per non lasciare nessuno indietro; favorire la transizione energetica e combattere i cambiamenti climatici; sfruttare le immense opportunità offerte dalla digitalizzazione; rafforzare il sistema commerciale globale secondo i principi di trasparenza, non discriminazione, inclusività, in modo da perseguire un approccio multilaterale realmente efficace”.
Il Presidente Conte afferma che va promosso l’empowerment femminile, però per la gestione dei 209 miliardi del Recovery Fund, pare che voglia costituire un Comitato Interministeriale formato da 14 uomini e 8 donne, mentre invece il piano di attuazione e la vigilanza politica dovrebbero  essere assegnati a un comitato esecutivo formato dal Presidente del Consiglio e da due ministri ‘di spesa’: Economia e Sviluppo economico. Tre uomini!
Ma in questo modo non si promuove  l’uguaglianza e la parità, obiettivi richiesti anche dall’Europa.
Oltre a ciò, stupisce e preoccupa la ripartizione dei fondi.
Infatti, nella bozza di proposta, per gli assi di spesa di Next Generation Eu, per le politiche di parità si prevedono solo 4,2 miliardi, inseriti nella voce “politiche sociali”.
Allora è evidente che il nostro Paese non vuole investire sull’uguaglianza e che considera marginale la partecipazione delle donne alla ripresa economica, se investe solo il 2% dei fondi europei!

Il caso della modifica della legge elettorale provinciale

Ho preso visione del ddl. n. 80, di modifica della legge elettorale provinciale, che al momento è privo  della relazione accompagnatoria, per cui non si capisce quale sia la “ratio” della legge.
Comunque, il disegno di legge modifica sostanzialmente due previsioni normativeti ritenute importanti per il riequilibrio della rappresentanza di genere:
la composizione delle liste secondo il criterio dell’alternanza delle candidature
di genere diverso;
la doppia preferenza di genere e cioè, posta la libertà di poter esprimere un unico
voto di preferenza, laddove i voti di preferenza sono  due, essi debbono essere di genere diverso.
Queste due previsioni normative sono chiare e non interpretabili.
Ora il ddl. si pone l’obiettivo di “ammorbidire” la legge.
Infatti, oltre ad eliminare l’alternanza di genere nella composizione delle liste elettorali, introduce la possibilità di esprimere fino a 3 preferenze e adotta una scrittura dell’articolo di legge poco chiara, laddove si afferma testualmente:”Se esprime più voti questi devono essere diretti a candidati di genere diverso; in caso contrario le preferenze successive alla prima sono annullate.”
Che vuole dire il legislatore? Forse che se esprime due preferenze devono essere di genere diverso?
Se è questo che vuole intendere il legislatore doveva dirlo in modo più chiaro
 e perché modificare l’attuale previsione? Solo per consentire le 3 preferenze?
È consapevole il legislatore che consentendo le 3 preferenze si apre ancora una volte alle cordate maschili?
Pare che i pochi articolo del ddl. siano pensati solo per rendere più addomesticata alle logiche maschili la legge, infatti l’altro articolo che viene modificato è relativo alle cosiddette liste a pettine e cioè l’alternanza dei generi nella composizione delle liste stesse. È chiaro che l’eliminazione di questa modalità di composizione delle liste non obbliga più i partiti ad attribuire parità di visibilità alle donne rispetto agli uomini.

I vocabolari sono inadeguati e contribuiscono a mantenere gli stereotipi di genere e ad essere offensivi nei confronti della donna.

Maria Beatrice Giovanardi, manager italiana trapiantata a Londra è riuscita a far modificare la definizione di donna del prestigioso Oxford English Dictionary, definita oltre ad “essere umano adulto femminile” anche “moglie, fidanzata, amante di un uomo” e con molti sinonimi discriminatori come “bitch, piece, mare, baggage, frail”.
Dunque tutte definizioni poco decorose, che hanno spinto la manager italiana, attiva nelle battaglie per i diritti delle donne, a creare una petizione indirizzata ad Oxford, affinché il dizionario venisse modificato e aggiornato. Ed è proprio in questi giorni, dopo un anno dall’inizio della petizione, che Maria Beatrice Giovanardi ha ottenuto la sua piccola vittoria. Piccola, purtroppo, poiché la definizione è stata cambiata, ma non sono scomparsi del tutto i sinonimi sessisti.
 
Ma come definiscono la donna i dizionari italiani ?
 
Non stiamo meglio, il sessismo impera anche sui nostri dizionari
Fino a qualche anno fa la donna veniva definita “la femmina dell’uomo”, oggi viene riconosciuta come individuo autonomo.
Dalla Treccani :dònna s. f. [lat. dŏmĭna «signora, padrona», lat. volg. dŏmna]. – 1. a.Nella specie umana, l’individuo di sesso femminile, soprattutto dal momento in cui abbia raggiunto la maturità anatomica e quindi l’età adulta”
uòmo (ant. o pop. òmo) s. m. [lat. hŏmo hŏmĭnis] (pl. uòmini [lat. hŏmĭnes]). – 1. a. Essere cosciente e responsabile dei proprî atti, capace di distaccarsi dal mondo organico oggettivandolo e servendosene per i proprî fini, e come tale soggetto di atti non immediatamente riducibili alle leggi che regolano il restante mondo fisico: il problema dell’uomo è centrale nella massima parte delle religioni storiche e dei varî sistemi filosofici.
Già qui nella definizione breve si registra una disparità, perché con il termine “uomo” si intende tutto il genere umano e la definizione di “Essere cosciente e responsabile dei proprî atti, capace di distaccarsi dal mondo organico oggettivandolo e servendosene per i proprî fini(…) potrebbe essere estesa anche alla definizione di donna, oppure la donna non merita pari dignità di argomentazione.
Ciò che fa davvero arrabbiare sono i sinonimi attribuiti ai due termini:
La donna ha come sinonimi inappropriati e ne cito solo alcuni: bagascia, baiadera, baldracca, battona, bella di notte, cagna, cocotte, cortigiana,  donnaccia, donnina allegra, falena,  gigolette,  lucciola, lupa, malafemmina,  marchettara, meretrice,  mignotta, mondana,  passeggiatrice, peripatetica, prostituta,  putta, puttana, squillo, sgualdrina, taccheggiatrice,  troia, vacca, zoccola.
Per l’ Uomo i peggiori sono: cavernicolo, primitivo, troglodita,  barbaro, cafone, incivile, maleducato, primitivo, screanzato, selvaggio, tanghero, zotico, burattino, fantoccio, marionetta, prestanome, pupazzo, camorrista, mafioso.
Mi pare che non ci sia paragone, eppure: mascalzone, gigoló, farabutto, puttaniere, frequentatore di postriboli, potevano “arricchire il quadro dei sinonimi al pari dei “pessimi” sinonimi scelti per la donna.
 
Ma ciò che mi sgomenta maggiormente sono i termini “positivi” scelti per i due generi.
L’uomo viene anche definito : uomo di stato, uomo di legge,  uomo d’affari, uomo di scienza, galantuomo, gentiluomo, uomo pubblico
La donna si deve accontentare di essere definita: amata, compagna, fidanzata, innamorata, ragazza, cameriera, colf, collaboratrice domestica, domestica, (lefantesca,  serva, padrona, signora.
Serve  che anche i nostri vocabolari si ripuliscano dagli stereotipi, soprattutto negativi e dispregiativi relativi al ruolo della donna e contemplare tra i sinonimi di donna: donna di lettere, donna di legge, donna d’affari e altri ancora è semplicemente la realtà.

Cari Partiti, ma qual è la vostra “Mission”?

 

Non è mai colpa di nessuno quando le cose non vanno come dovrebbero.
I partiti affermano che non è colpa loro se vi sono poche donne “nei ruoli che contano”, ed ancora che non è colpa loro se i candidati Sindaco delle città più popolate non sono donna.
Ma allora qual è il ruolo dei partiti ?
Non è forse quello di realizzare una società più equa e più giusta?
Non è forse quello di correggere le “storture” economiche e sociali?
Non è forse quello di modernizzare la società ?
Non sono forse loro che dovrebbero rappresentare il modello di società a cui ambiscono?
In campagna elettorale sono generalmente questi gli slogan utilizzati dalla maggioranza dei partiti cosiddetti liberali e progressisti, poi si adeguano alla realtà piegandosi allo status quo, vittime loro stessi di pregiudizi, che invece dovrebbero combattere.
La realtà è molto chiara, ci sono poche donne candidate nelle cariche apicali, perché non si investe sufficientemente su di loro.
Le dinamiche decisionali nelle organizzazioni, siano esse partiti, Enti Pubblici o Società Partecipate si svolgono tutte, tranne rare eccezioni, seguendo un medesimo modello, quando bisogna decidere sui ruoli apicali o comunque rilevanti  da attribuire.
Innanzitutto si procede con la stesura di un insieme di requisiti e condizioni preliminari ed è chiaro che ogni Team di vertice, pubblico o privato, ha già in testa chi escludere dal ruolo, prima ancora di decidere il candidato ideale.
Ed allora si assiste alla stesura di criteri ad excludendum, poi si condiziona la candidatura all’approvazione da parte dei possibili partner ed è proprio la ricerca del sostegno che si fa più complessa, perché qualora un partito o un’organizzazione si orientasse verso un candidato, non voluto da tutti i dirigenti, si gioca la partita più astuta, chiedere cioè ai possibili alleati, in modo del tutto riservato, di esprimere un parere negativo e di imporre una correzione.
 
Ecco molte candidature femminili sono affossate in questo modo, subdolo e poco trasparente.
 
Infine, abbiamo bisogno di ulteriori prove per capire che la politica degli uomini è fallimentare.? Non ci sono bastati l’aumento vertiginoso delle diseguaglianze, aver ridotto in povertà la classe media, aver aumentato la violenza, ridotto l’inclusione , inabissato il tasso di fecondità e il tasso di occupazione.?
È evidente a chiunque voglia guardare che la classe dirigente maschile ha fallito.
La teoria dei gruppi esclusi ha una sua logica, mettiamo cioè alla prova chi fino ad oggi non ha determinato le scelte politiche e vediamo cosa riesce a fare, ciò che hanno fatto gli uomini è chiaro e consolidato!!!
Ed ora speriamo che le Giunte Comunali sappiano valorizzare le competenze femminili.
 

Velo e libertà

“Per me il mio velo è un simbolo di libertà (…)coprendo il mio corpo so che una persona potrà vedere la mia anima”. Queste le parole di Silvia/Aisha, scelta libera che va rispettata.

Il problema dal mio punto di vista è che le donne mussulmane non sono  affatto libere d’indossare il velo, ma è loro imposto dagli uomini, dai padri, fratelli, mariti, dalla società che non prevede affatto la parità tra i generi.
Non nego che vi siano donne mussulmane che dichiarino come indossare il velo non sia una costrizione e che lo ritengano perfino “giusto”, non cogliendo per nulla che la religione impone solo a loro un “dress code”, che uniforma il genere.
Il velo non è affatto un simbolo di libertà, ma è il segno della sottomissione della donna, è il segno del potere maschile, è il segno anche della poligamia a senso unico.
Silvia/Aisha afferma che coprendo il corpo le persone potranno vedere la sua anima.
Ma solo le donne devono coprirsi per essere considerate persone con un’anima,  gli uomini hanno un’anima visibile anche in bermuda, canottiera e sandali con calzini, non è strano?
E dunque perché negare agli uomini questa opportunità, che si coprano anche loro per rendere visibile la loro anima!
In concreto il velo lascia ben poca libertà, non quella di farsi una bella corsa o di andare in bicicletta o di farsi una nuotata, senza rischiare di farsi del male.
Silvia/Aisha è il simbolo della forza e della resilienza, merita il massimo rispetto e credo che poche persone sarebbero riuscite  a superare la durissima prova che lei ha vissuto.
Qualunque cosa,  qualunque pensiero possa averla aiutata a superare l’angoscia e la disperazione della prigionia è stata una buona cosa,  ma penso anche che i suoi rapitori abbiano gioito nel vederla scendere dall’aereo  in Italia velata e convertita, perché poteva essere interpretata come una dichiarazione di comprensione delle ragioni “nobili” dei rapitori, una giustificazione di un crimine odioso che di nobile non ha nulla.
Una vicenda violenta, brutale e squallida, che si è risolta con il pagamento di un riscatto, ha rischiato di apparire come uno “scontro di civiltà”.
Mi rendo conto di essere provocatoria nel dire ciò che dico e di attirarmi facili critiche, ma davvero trovo insopportabile vedere, anche nel mio paese, ragazze e donne velate, sempre un passo indietro rispetto al maschio e costrette in veli, teli che devono nascondere agli occhi degli estranei il loro corpo di donne, il loro essere donne, come se dovessero vergognarsene.
Lo trovo insopportabile perché le donne appaiono come una proprietà, un oggetto silente e vergognoso.
Infine, mi domando se queste donne mussulmane siano meglio delle altre donne, prive di ambizioni effimere, così capaci di pensare che l’anima, la sensibilità e l’intelligenza femminile si possa esprimere solo “castigando” il corpo?
A me non sembra la via della felicità e della libertà, ma quella della segregazione e della infelicità.