Velo e libertà

“Per me il mio velo è un simbolo di libertà (…)coprendo il mio corpo so che una persona potrà vedere la mia anima”. Queste le parole di Silvia/Aisha, scelta libera che va rispettata.

Il problema dal mio punto di vista è che le donne mussulmane non sono  affatto libere d’indossare il velo, ma è loro imposto dagli uomini, dai padri, fratelli, mariti, dalla società che non prevede affatto la parità tra i generi.
Non nego che vi siano donne mussulmane che dichiarino come indossare il velo non sia una costrizione e che lo ritengano perfino “giusto”, non cogliendo per nulla che la religione impone solo a loro un “dress code”, che uniforma il genere.
Il velo non è affatto un simbolo di libertà, ma è il segno della sottomissione della donna, è il segno del potere maschile, è il segno anche della poligamia a senso unico.
Silvia/Aisha afferma che coprendo il corpo le persone potranno vedere la sua anima.
Ma solo le donne devono coprirsi per essere considerate persone con un’anima,  gli uomini hanno un’anima visibile anche in bermuda, canottiera e sandali con calzini, non è strano?
E dunque perché negare agli uomini questa opportunità, che si coprano anche loro per rendere visibile la loro anima!
In concreto il velo lascia ben poca libertà, non quella di farsi una bella corsa o di andare in bicicletta o di farsi una nuotata, senza rischiare di farsi del male.
Silvia/Aisha è il simbolo della forza e della resilienza, merita il massimo rispetto e credo che poche persone sarebbero riuscite  a superare la durissima prova che lei ha vissuto.
Qualunque cosa,  qualunque pensiero possa averla aiutata a superare l’angoscia e la disperazione della prigionia è stata una buona cosa,  ma penso anche che i suoi rapitori abbiano gioito nel vederla scendere dall’aereo  in Italia velata e convertita, perché poteva essere interpretata come una dichiarazione di comprensione delle ragioni “nobili” dei rapitori, una giustificazione di un crimine odioso che di nobile non ha nulla.
Una vicenda violenta, brutale e squallida, che si è risolta con il pagamento di un riscatto, ha rischiato di apparire come uno “scontro di civiltà”.
Mi rendo conto di essere provocatoria nel dire ciò che dico e di attirarmi facili critiche, ma davvero trovo insopportabile vedere, anche nel mio paese, ragazze e donne velate, sempre un passo indietro rispetto al maschio e costrette in veli, teli che devono nascondere agli occhi degli estranei il loro corpo di donne, il loro essere donne, come se dovessero vergognarsene.
Lo trovo insopportabile perché le donne appaiono come una proprietà, un oggetto silente e vergognoso.
Infine, mi domando se queste donne mussulmane siano meglio delle altre donne, prive di ambizioni effimere, così capaci di pensare che l’anima, la sensibilità e l’intelligenza femminile si possa esprimere solo “castigando” il corpo?
A me non sembra la via della felicità e della libertà, ma quella della segregazione e della infelicità.

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